Scritto su un biglietto piccolo e stropicciato, in stampatello, perché fosse chiaro. E due caselle, sottostanti, un SI e un NO.
Lo consegnavi all’amichetta, che in seguito lo avrebbe consegnato all’amichetto di lui. E nell’attesa della risposta ricordi ancora quella morsa che sembrava attorcigliarti lo stomaco. Fino alla risposta. Fino al momento in cui quel foglietto tornava nelle tue mani e lo aprivi lentamente.
I bambini non hanno filtri e quello che vogliono passa dal loro cuore alla loro bocca senza troppo rigiri, senza trovare ostacoli.
Poi siamo cresciuti e ai bigliettini abbiamo sostituito domande nette, sussurrate con imbarazzo ma con altrettanta determinazione. Ricordo ancora con tanta emozione la visiera di un casco di un ragazzo ( per me molto speciale) che si apriva sui suoi occhi verdi, mentre la mano destra continuava ritmicamente e nervosamente a roteare la manopola del manubrio di una scassatissima vespa 125. La nuvola di fumo proveniente dalla marmitta ci avvolgeva, mentre alla sua breve domanda rispondevo semplicemente sì. E lui sgassando se ne andava felice e rumoroso. Sapevamo quello che volevamo al momento.
Poi siamo cresciuti ancora.
Da adulti già capire cosa vogliamo si rivela un traguardo ambito che ci regala una veste di persona accorta, saggia, equilibrata. Riuscire poi a comunicarlo con chiarezza agli altri sembra risultare sempre più complicato. Soprattutto quando ciò che vogliamo non corre parallelamente a ciò che nella sfera del socialmente accettabile, gli altri vorrebbero che tu volessi.
Eppure avremmo ancora bisogno di pensieri semplici e di risposte semplici. Pronunciate guardandosi negli occhi.
Ti voglio bene.
Mi manchi.
Io amo quella donna. Io amo quell’uomo. Io voglio smettere di studiare. Io voglio fare il musicista. Io voglio lasciarti. Io voglio sentirmi libera. Io non voglio figli. Io voglio sposarmi. Io voglio andare via. Io non voglio più fare questo lavoro.
E accanto ai pensieri semplici, domande semplici.
Ti posso abbracciare?
Posso aiutarti? Puoi aiutarmi?
Come stai?
Come stai? Già. La frase più inflazionata dopo il buongiorno e il buon appetito.
La domanda più ignorata, seconda soltanto alla mia richiesta in classe: “Qualcuno vuole venire volontario all’interrogazione ? “. Il vuoto. Il silenzio.
Soltanto che in questo secondo caso i ragazzi fingono soltanto di non avere sentito, rivolgendo agitati lo sguardo verso il basso, sotto il banchino,( se potessero rimpiatterebbero direttamente la testa nei loro zaini).
Il come stai? non viene neanche ascoltato; fluisce ormai senza che a nessuno in fondo interessi davvero la risposta che, nel caso in cui arrivi, appena un pochino più articolata di un “abbastanza bene” , si finisce anche per innervosirci per il tempo perso.
Come stai? è invece una domanda così bella. Una delle più belle che si possa fare ad un’altra persona. Significa voglio sapere se stai bene davvero, se la tua vita scorre come l’avresti voluta, se i tuoi cari ti sono vicini, se il tuo lavoro ti gratifica, se la tua salute è buona.
Chiedere come stai significa comunicare che ho a cura il tuo stare e la tua felicità. Significa comunicare che per me sei importante.
Un bacio.
A presto. Sa
Dettagli :
Foto di Giorgio Leone
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