La mia assenza dai social è temporanea ma ricostituente. Io che sui social ci sguazzo da anni senza bisogno di braccioli gonfiabili, ad oggi ho bisogno di prendere fiato. Con la testa a pelo d’acqua e l’animo pieno di amarezza. Non mi piace quello che vedo, quello che leggo, quello che ascolto. Non mi piace la superficialità nei giudizi, l’ignoranza dilagante. Questo sentirmi dalla parte sbagliata anche quando sono certa di essere da quella giusta. Se il terreno sotto i piedi trema, i social non sono il luogo più rassicurante. Magari il più scontato, il più prevedibile, dove ogni maschera sembra
Per un’insegnante di scuola superiore avere tre quinte nell’ultimo anno di corso dovrebbe essere illegale. Insomma dovrebbe essere proibito dalla legge. Sulla carta domani sarà l’ultimo giorno che trascorreremo insieme nelle aule anche se in realtà è stato ieri. L’ultimo giorno di una settimana straziante che ci ha visto vomitare vicendevolmente negli abbracci, nelle parole, negli sguardi tutto l’affetto e tutta l’ansia di un’imminente distacco. E io sto vivendo questi giorni in uno stato di coma vigile ormai ben conosciuto. In poche parole sono devastata e piagniucolante da giorni. Avete presente la sindrome del nido vuoto che prova una madre
Per molti anni ho lavorato la sera come barman ( forse si dovrebbe dire barmaid o barlady poco importa). Circa 7 anni. Di giorno insegnavo, la sera (nel fine settimana ) lavoravo nei locali notturni e discoteche. Era un modo facile per arrotondare in una situazione di precariato e cambiamenti familiari. Volevo essere completamente autosufficiente. Sono cresciuta nei bar di famiglia, so bene come si fa un cappuccino ad opera d’arte, un mohito e un negroni. Quasi come un integrale definito. E’ stato un modo facile per ricreare a 32 anni una rete di conoscenze nella mia nuova città adottiva. Di fatto,
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