Le persone hanno perso il desiderio e il coraggio di sognare.
In realtà non credo che sia esattamente così. Sognare è vitale: una vita senza sogni sarebbe vuota, monotona. Sognare in fondo è anche facile e noi italiani siamo per natura un popolo di sognatori.
Quello che talvolta risulta sbagliato credo che siano i luoghi in cui ci ritroviamo a cercare i nostri sogni, fantasiosi e irraggiungibili. Magari in realtà virtuali o nelle vite di altri.
Ricordo di avere letto una frase molto bella in un libro di D’Avenia:
una vita di sogni impossibili è come un giardino di fiori finti
E dove trovare allora quelli realizzabili?
Forse semplicemente nei nostri vissuti, nelle persone che incontriamo, nei talenti che possediamo. Nei libri che ci capita di leggere perché ci ha colpito il titolo o la copertina. Nei viaggi che non avremmo mai pensato di fare. Ma anche nelle esperienze che la vita ci offre, più o meno importanti, più o meno dolorose. Nei territori in cui siamo nati e cresciti e nella tradizione che li rappresenta.
E’ una prospettiva che nel tempo si è modificata. Da ragazzina ero convinta che per sognare si dovesse puntare in alto. “Bisogna sempre puntare alla luna, mal che vada si è comunque arrivati tra le stelle.” Quanto entusiasmo giovanile!
Ad oggi la concretezza e l’età non mi hanno reso meno sognatrice, ma hanno dirottato la ricerca della felicità nei luoghi in cui la felicità possa essere realmente raggiungibile. Già di per sé si rivela davvero complicato credere nei propri sogni, si pensi poi quanto possa esserlo credere a quelli impossibili.
Perché i sogni non devono rimanere tali, a muffire in un squallido cassetto di qualche comò, ostentati in qualche cena tra amici, in un clima di confidenza alcolica.
I sogni devono essere realizzati. Altrimenti sono inutili.
E come un bruco che si trasforma in crisalide, prima di divenire farfalla, ad un sogno deve seguire un’idea. All’idea un progetto.
E di tre splendidi progetti vi vorrei parlare, tre farfalle che ormai hanno schiuso le ali trasparenti e coloratissime, prendendo il volo in tutta loro bellezza.
Il primo riguarda il sogno di un gruppo di giovani lucchesi ( Mirko Paladini, Letizia Bandoni , Luigi Bandoni , Christian di Riccio , Vanessa Puccini e Andrea Tenucci) che intendono rilanciare i fasti di una storia comune fatta di artigianalità e tradizione. Una storia presente nel DNA di un territorio, Segromigno, (Lucca), dove non c’è famiglia che non sia cresciuta a “pane e zoccoli”. E loro stessi, nipoti o bisnipoti degli artigiani, padri della cultura dello zoccolo a Segromigno, raccontano che da piccoli giocavano sulle cataste degli sfridi di legno degli zoccoli dei loro nonni, dei loro padri. Sono cresciuti ai piedi di una manovia; aspettavano i tir sulla strada, incuriositi dalla grandezza dei loro container. Odoravano il profumo della pelle e della colla.
Pochi mesi fa hanno deciso, amici da una vita, di unire le loro professionalità e il loro coraggio per cercare un modo che permettesse loro di non perdere questa importante storia fatta di luoghi e di cultura. Così è nato UnaLira® Traditional Italian Clogs, che è senza dubbio molto più di una linea di zoccoli. E’ un sogno che si realizza di nuovo.
Da una vecchia forma di legno usata per la produzione nei primi anni del novecento, il team di UnaLira® ha lanciato la sua prima collezione PE 2017 con tre linee di prodotto: Story (zoccolo peptone), Place (coloratissimo zoccolo-sandalo) e Dream (ispirato allo stile loafer). I modelli si caratterizzano per il fondo UnaLira® realizzato in prezioso legno naturale, alleggerito e reso unico dall’inconfondibile foro nel tacco che trova la sua ispirazione nella vecchia moneta – Lira – e ne riporta fedelmente il suo esatto diametro.
UnaLira® è stato lanciato in modo innovativo attraverso la piattaforma americana di crowdfunding di Kickstarter , con l’intento di raggiungere un tetto minimo di fondi per dare continuità e concretezza al progetto e potere partire con la produzione. In un mese il tetto minimo di fondi è stato ampiamente raggiunto e il sogno ha preso il volo.
Anche il sogno di Edda Berg affonda le sue radici nel passato. Edda Berg è in realtà la nonna di Ilaria Grossi, giovane stilista del marchio di abbigliamento toscano; una signora carismatica e passionale che ha saputo influenzare le donne della sua famiglia, in particolare le sue nipoti, con la sua carica straripante e la sua fervida curiosità. Tutt’oggi, a ben 92 anni, Edda ancora cuce e controlla con attenzione e spirito critico le creazioni della nipote.
Ilaria le assomiglia molto, coraggiosa ed ottimista, pignola ma fantasiosa, ha ereditato il gusto e l’eleganza, nonché la passione per i tessuti di grande qualità. Le collezioni Edda Berg privilegiano le linee semplici: dal passato recuperano le forme, dal presente ricercano la qualità e l’innovazione dei materiali.
Quella di Edda Berg è una moda lenta ( Slow fashion) perché richiede tempo e attenzione, perché è realizzata per durare e perché rispetta i tempi di chi la produce. Un sogno che sembra andare controtendenza in un mondo in cui tutto scorre velocissimo. In realtà è un sogno che si realizza perché si fonda su un desiderio reale e trae linfa vitale in un contesto vero poiché familiare.
Infine l’ultimo progetto; l’ultimo sogno ricercato nel luogo delle esperienze vissute, se pur dolorose.
Si tratta di occhiali. Ma dirlo così sembrerebbe riduttivo. In fondo quanti brand di occhiali ci sono al mondo? L’idea di dare vita al progetto D-Future nasce dalle esperienze personali di Rossella e Federica le quali hanno condiviso, seppur in circostanze diverse, gli effetti collaterali della chemioterapia e dal loro desiderio di alleviare ai pazienti, e alle persone a loro vicine, gli effetti collaterali stessi del cammino chemioterapia.
Rossella e Federica sono due donne speciali che ho avuto la fortuna di conoscere al corso di Volontario del Sorriso (clown in corsia).
Rossella, dottoressa in ortottica, Doc Ross, il tumore l’ha avuto davvero, superato con grande forza, tenacia e lo spirito del “naso rosso”. Ora spera solo che sia ormai un lontano ricordo.
Federica, brava designer, ha perso da poco la mamma, dopo anni di lotte.
Due donne che hanno molto sofferto ma che hanno deciso di trasformare le loro esperienze in qualcosa di bello e sorridente, quello che loro definiscono “un bel sorriso“, un progetto davvero speciale.
Hanno infatti pensato di creare un brand che unisse la D come Doc ( soprannome della Dottoressa Rossella Conti) e le iniziali di Dagnini Cara, mamma di Federica, nel formare un nome, che la dice lunga sul loro sguardo fiducioso verso il futuro.
Da un sogno, un’idea, è nato D-Future, un brand di occhiali dal design accattivante e dai mille colori costruito con materiali anallergici e di ultima generazione. Insomma un brand che attraverso la vendita di occhiali decisamente glam, raccoglie risorse per sponsorizzare progetti volti ad alleggerire gli effetti collaterali del cammino chemioterapia ( tipo il corso di make-up specifico per donne che stanno affrontando il duro percorso della chemioterapia).
Questo, a mio avviso, è generoso ed estremamente importante. E al momento avrei difficoltà a pensare di comprare un occhiale diverso da D-future.
Tre progetti che hanno come denominatore comune la concretezza mista all’ottimismo, alla speranza e al coraggio.
Tre progetti importanti perché riguardano l’artigianalità e il territorio. E questa cosa, come sapete, mi gasa da matti e rende ottimista, fiduciosa e coraggiosa un pochino anche me.
Un bacio
A presto. Sa
Nei momenti di grande felicità sento le favole del cielo
♥♥♥
Dettagli :
Pantaloni: Edda Berg: Pagina FB Edda Berg
Zoccoli modello Dream : UnaLira – Pagina Fb UnaLira
Occhiali: D-Future – Pagina Fb D-Future
Impermeabile e borsa: Zara
Cappello: Brixton
Foto di Giorgio Leone
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Vero i sogni devono essere realizzati allora si che diventano belli. Bel look.