Oggi sono uscita di casa e l’ho sentita forte ma forte davvero. La paura.
L’ho sentita nel silenzio che ci circondava. Un silenzio scomodo e fastidioso.
L’ho vista nelle strade e nei parcheggi dei centri commerciali mezzi vuoti. L’ho ascoltata negli scatti aggressivi di qualche collega e nei dialoghi scevri di battute. L’ho percepita nei sorrisi timidi, che non riuscivano neanche a incurvare le labbra. Nelle mani che rimanevano a mezz’aria nella tensione di un saluto. Nello sguardo diffidente dello sconosciuto al banco del bar, mentre sorseggiava il caffè e piano piano indietreggiava portandosi a distanza di sicurezza.
Quella distanza di sicurezza, unica appiglio razionale in un disorientamento totale e un senso di impotenza rispetto ad un mondo fuori controllo.
Quella distanza di sicurezza di un metro, il droplet, una parola inglese, il cui significato si può tradurre letteralmente con «gocciolina». Un termine che indica il criterio di tenersi alla giusta distanza affinché le «goccioline di saliva» che disperdiamo nell’aria, starnutendo e tossendo, ma anche soltanto parlando, non arrivino agli altri.
Una distanza fisica corretta, adeguata, sensata, che rischia di diventare anche mentale, emotiva.
Avvicinare o allontanare allora?
Anche senza un contatto, possiamo esserci. L’uno per l’altro.
Stiamo a distanza di sicurezza ma non prendiamo le distanze.
“La distanza non è un ostacolo al tenersi in contatto − ma il tenersi in contatto non è un ostacolo all’essere distanti.”
(Zygmunt Bauman)
Foto credits : Giulia Raia ( IG @giuliaraiaph)
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