Sono passati due anni.
Due anni dalla pubblicazione dall’articolo più doloroso e liberatorio che abbia mai scritto. Una sorta di outing sulla mia incapacità di procreazione e sulla difficoltà di convivere con una disabilità di questo tipo in una società che per quanto si professi evoluta, ha ancora tanta difficoltà a riconoscere sia la condizione di infertilità, sia il viscerale ma sacrosanto desiderio di alcune donne di rimediare in modo artificiale.
Noi madri senza figli è uscito di getto, in un grigio pomeriggio di febbraio del 2017, come ingenuo tentativo di mettere il punto ad un mio lunghissimo percorso mentale e fisico di ricerca di maternità, ma anche di rassicurare chi mi ama sul mio nuovo equilibrio raggiunto.
Insomma è stato come dire: le cose stanno così, non fatemi più domande, tra l’altro ho compiuto 50 anni e comunque, tranquilli, io sto bene. Sto bene.
Quello che non avevo messo in conto era che quell’articolo potesse raccogliere timori, angosce, inquietudini di tante altre donne che stavano vivendo o avevano vissuto esperienze simili alle mie. E’ stato come stappare una lattina di coca cola, dopo averla agitata. Nell’attimo in cui la linguetta si stacca dal coperchio sai perfettamente che non potrai più fare niente per contenere o ricomprimere il liquido, che continuerà a spruzzare allegramente. Ti inonderà e se non riuscirai a spostarti prontamente ne rimarrai irrimediabilmente investito.
Ecco io non mi sono spostata rapidamente. E il dolore di centinaia di storie simili o dissimili alla mia (poco importa), sicuramente con un comune denominatore con il mio percorso, mi ha investito, provocandomi qualcosa di più difficile da affrontare di una doccia di bibita gassata.
Probabilmente avrei dovuto immaginarlo. Probabilmente però a questo non ero pronta.
L’ho capito successivamente. Ho risposto ai primi messaggi, ai primi commenti, alle prime mail, con comprensione, poi ho messo. Ogni storia sembrava riaccendere un piccola fiamma che forse avevo spento da troppo poco tempo per essere certa che non avrebbe mai ripreso vigore. E le storie erano così tante.
Il mio sano e saldo istinto di auto-conservazione mi ha portato al riparo per un po’.
Sono passati due anni. Ogni tanto mi arriva ancora il racconto di un pezzettino di vita di qualche donna coraggiosa che ancora lotta con il proprio senso di fallimento.
Ed io ancora provo un fortissimo senso di colpa per non essere riuscita ad aiutarle come avrei voluto.
Eppure so bene quanto questa incapacità di sostenere il ruolo di contenitore biologico, unita ai disagi di eventuali cure intraprese, possa portare ad una condizione di silenziosa vergogna. Una solitudine causata dall’errata percezione di essere l’unica a vivere tutto ciò.
Quando riesci a parlarne con qualcuno ti accorgi immediatamente che è molto più frequente di quanto tu pensassi. L’incontro con altre pance vuote diventa un’esperienza confortante e liberatoria.
Il racconto di altre storie simili è come un caldo abbraccio in cui rifugiarsi, certe che verremo capite, non etichettate. Un racconto davvero raro. Perché parlarne è difficile, significa in fondo mettere a nudo tutta la nostra fragilità. E perché noi donne non parliamo. Ovvero siamo in grado di confessare senza alcun imbarazzo o pudore delle nostre nuove tette, delle labbra siliconate ad arte. Saremo anche divertite nel confidare di avere fatto un intervento di labioplastica ma di fecondazione assistita no, di quello non si può parlare.
Come ho letto recentemente in un bellissimo articolo ( mi sembra su Donna Moderna), una donna può tingersi i capelli anche di rosa, calzare il tacco 12 per rimediare alla sua statura, sdraiarsi sul lettino di un chirurgo estetico un giorno sì e uno no, però attenzione: se si tratta di maternità, tutto deve avvenire in maniera naturale e possibilmente con parecchio dolore.
Sono una maestrina d’animo ma non credo che la sensibilità sia una qualità che possa essere insegnata. O capisci o non capisci. Tuttavia ho apprezzato moltissimo il coraggio di Michelle Obama che in un’intervista alla vigilia dell’uscita della sia autobiografia Becoming, ( che ho letto tutta di un fiato) ha raccontato di avere concepito le figlie con la fecondazione assistita, ricordando che la cosa peggiore che noi donne possiamo fa a noi stesse è quella di non condividere la verità sui nostri corpi. Ben detto Michelle. E la tua è una voce così autorevole. Qualcosa può insegnare. Chi è passato attraverso questo lungo tunnel o ne è ancora dentro, sa bene come queste parole possano essere di conforto e di speranza.
Nel mio piccolo posso solo dirvi: io sono qui, ora sono pronta ad abbracciarvi tutte.
E ricordate: con o senza figli possiamo avere il nostro spazio nel mondo.
Un bacio
S.
Una madre senza figli.
smilingischic@gmail.com
Foto di Elena Guidi ( @elenaguidi83 )
©Riproduzione Riservata.
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Grazie infinitamente per queste tue parole in questo momento così particolare e delicato della mia vita.
Non sai Per quanto tempo ho cercato sul web parole pensieri ed emozioni come quelle che tu hai espresso così bene che mi facessero sentire meno sola che mi dicessero che qualcuno era profondamente addolorato come me.
Grazie ancora una volta Grazie
Meravigliosa Sandra, ho letto con emozione ogni parola del tuo articolo..anche io ho affrontato un percorso lungo e difficile fatto di alti e bassi…sono riuscita ad affrontare il tutto con forza e questa forza mi è stata data dal mio compagno e dalle persone che ho avuto accanto con le quali ho sempre condiviso ogni difficoltà perché l’avere un problema nel concepire un bambino non ci fa sentire meno mamme e meno papà..posso solo che ringraziare le tante punture fatte nella pancia, i cerotti e i gel di ormoni, i prelievi e i transfer fatti..sono stata coccolata in questo percorso grazie alla mia scelta di condividere e di non vergognarmi..perché sinceramente di cosa dovremmo vergognarci?? Giacomo è stata la nostra più grande vittoria.
Un bacio❤️
Si cara Sandra hai proprio ragione in tutto, io ti riscrivo a distanza di un anno e mezzo circa perché ci sono ancora dentro, soffro e piango ancora, vado avanti con la mia battaglia e soprattutto non mollo.. ci riprovo.. inciampo, cado e continuo ad alzarmi, ma non mollo!! Ce la farò prima o poi?? Questo non lo so, però per il momento non smetto di crederci.. ti abbraccio ❤️
Grazie! Sono passati tanti anni da quando affrontavo il mio percorso nel mondo della pma. Ne sono uscita sconfitta perché alla fine per me niente figli. A quelli e quelle che ancora fanno assurde domande, anzi la Domanda, figli? Ho imparato negli anni a rispondere con un sorriso e a dire :il destino!
Cara Sandra, ti riscrivo di nuovo!
Sono passati quasi 2 anni dall’ultima volta del pma, cercavo di esprimere il mio dolore, condividere il mio dolore con qualcuno che riusciva a capirmi perfettamente e ho incontrato te. Ti ho ringraziato tanto in quei giorni bui.
Oggi è una di quelle giornate in cui il dolore torna lacerante come prima ma di nuovo ho incontrato te … amica mia!
Grazie di nuovo! Un abbraccio sincero!